Confini comunitari

Mercoledì 7 ottobre 2009 nell’ambito dell’edizione 2009/2010 del Festival Architettura, alle ore 17.30 si terrà l’ incontro Confini comunitari con l’architetto e scrittrice palestinese Suad Amiry. Alle ore 21 seguirà la proiezione del film Diario da Gaza di Stefano Savona, prodotto da Pulsemedia di Reggio Emilia

Dedicato al tema Comunità/Architettura, la quinta edizione del Festival Architettura pone l’attenzione sui fenomeni dell’aggregazione, dell’integrazione e del costituirsi comunitario cui l’architettura e il disegno della città possono dare concreto e, a volte, decisivo contributo.

Suad Amiry è fondatrice e direttrice del Riwaq – Center for Architectural Conservation a Ramallah. Cresciuta tra Amman, Damasco, Beirut e Il Cairo, ha studiato architettura all’American University di Beirut e all’Università del Michigan, specializzandosi infine a Edimburgo. Dal 1981 insegna architettura alla Birzeit University e, da allora, vive a Ramallah. Ha scritto e curato numerosi volumi sull’architettura storica palestinese. Si è scoperta scrittrice raccogliendo in volume i diari che ha tenuto durante l’assedio israeliano al quartier generale di Arafat a Ramallah nel 2001 e 2002, pubblicato poi con il titolo Sharon e mia suocera, tradotto in 11 lingue e con cui ha vinto il premio Viareggio nel 2004. Altre sue opere: The Palestinian village home (British Museum Publications, 1989), Se questa è vita (Feltrinelli, 2005), Niente sesso in città (Feltrinelli, 2007), Murad Murad (Feltrinelli, 2009). Riwaq, il centro che dirige, si propone di conservare l’identità del popolo palestinese attraverso l’architettura con il restauro del patrimonio culturale e la creazione di spazi di aggregazione alternativi alle moschee. Riwaq offre il finanziamento e la supervisione del restauro di un edificio ad associazioni e organizzazioni non governative presenti sul territorio, utilizzando materiale da costruzione locale e offrendo lavoro ai numerosi disoccupati delle zone rurali.

Scheda del film
Diario da Gaza (Italia, 2009, 52’). Regia Stefano Savona
Prodotto da Roberto Ruini e Fausto Rizzi per Pulsemedia; Montaggio Marzia Mete; Suono e mix Jean Mallet; Colore Eric Salleron;  Musica Massimo Zamboni; Coordinatori di produzione Silvia Sassi, Sandro Ongarini; Aiuto Montaggio Chiara Russo; Segreteria di produzione Lùkà Bertani;  Interpreti Nidal Omar Abu Lebdeh; Traduzioni Nicoletta Manzini, William Nemer, Marwa Mahmoud Globe Studio; Web Project daGaza.org Francesco Paltrinieri,  Giuliana Beneventi, Cosimo Bizzarri, Francisco Heredia Maldonado, Simone Incerti Zambelli, Gabriele Quintavalla: Post produzione video Avidia, Paris; Ufficio Stampa Lionella Bianca Fiorillo/Storyfinders.
Ringraziamenti Abdallah Shehada, the Hassuna family, Guido Rampoldi, Abir Soleiman, Mohamed Soleiman, Ramzi Hamraoui, Fabrizio Grosoli, Luigi Bobba, Leoluca Orlando, Fabrizio Ferrandelli, Jacques Bidou, Carlo Degli Esposti, Simona Bertoglio, Laura Buffoni, Francesco Di Pace, Lella Feo, Sophie Jacotot.
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E’ il 6 Gennaio 2009. Mentre al di là del muro invalicabile che separa Gaza dal resto del mondo continuano i bombardamenti aerei e s’intensifica l’invasione di terra, nessun testimone è ancora riuscito a penetrare nella Striscia.
Dalla frontiera con l’Egitto passano solo i feriti, i morti, e qualche camion di medicinali. Poi, inaspettatamente e quasi per caso, si schiude un’impercettibile falla nel dispositivo impermeabile del confine. Prima che si richiuda, in pochissimi riescono a passare. Tra loro c’è anche un regista con una telecamera. Questo film mostra ciò che quella telecamera ha potuto filmare al di là di quel confine; racconto per immagini della vita quotidiana a Gaza durante gli ultimi drammatici giorni dell’Operazione “Piombo Fuso”.

Note di regia
Già quasi a Gaza per “filmare la guerra” ripensavo alle immagini che la televisione aveva mostrato sin dai primi momenti dell’attacco. Le macerie, i morti, i feriti, mille volte le stesse inquadrature senza contesto, disseminate tra i servizi dei telegiornali ad illustrare le notizie quotidiane dal fronte, restituivano un orrore opaco, muto, incomprensibile.
Come a volte accade al risveglio dagli incubi, di queste immagini private del loro orizzonte di spazio e di tempo restava addosso un malessere ottuso, simile alla claustrofobia: una sensazione di moltiplicata impotenza, di forzata estraneità nei confronti di una realtà che restava ambigua, remota, indecifrabile e che la moltiplicazione infinita degli schermi, incapace di addomesticare, contribuiva solo a banalizzare.
Poi ho oltrepassato il confine. E quello spaesamento è scomparso. Di colpo. Proprio mentre passo dopo passo, uno sguardo alla volta, imparavo faticosamente ad orientarmi tra i luoghi, i tempi, i volti di un paese in guerra. (Stefano Savona)