Nello spirito di accoglienza dello Spazio Gerra, che vuole promuovere l’incontro della nostra città con artisti e fotografi contemporanei, la fotografa sud coreana Hyun-Jin Kwak è tornata a Reggio Emilia per sviluppare un nuovo capitolo del suo progetto in progress dal titolo Girls in Uniform.
Dopo la menzione speciale ottenuta per The Core of Industry, il premio internazionale svoltosi nell’ambito di Fotografia Europea 2008, l’artista ha soggiornato in città per più di un mese (dal 25 giugno al 28 luglio), allestendo veri e propri set fotografici all’interno di alcuni dei luoghi più suggestivi della nostra città, tra i quali il Teatro Valli, i Chiostri della Ghiara, i Musei Civici, l’Arena Estiva Stalloni, l’Ex Opg e il Mercato Coperto.
Lucia Barbieri e Valeria Rinaldini hanno raccolto in un’intervista le motivazioni del lavoro dell’artista:
Quando hai cominciato ad amare la fotografia e perché?
Non so esattamente quando ho iniziato ad amare la fotografia, forse con la nascita di “Girls in Uniform” nel 2003. In ogni caso, non è propriamente una “passione” per me, quanto piuttosto un mezzo, un meccanismo che meglio di ogni altro mi permette di esprimermi.
C’è un tipo di fotografia in particolare a cui ti ispiri?
Più che dalla fotografia, sono ispirata dall’arte in generale. Ma non c’è un artista che amo più degli altri. Direi che il mio lavoro nasce dall’agire quotidiano, dalle circostanze che ci influenzano in ogni cosa che facciamo: l’economia, le tendenze, la cultura. Sono anche molto ispirata dalla letteratura, amo indagare la complessità delle situazioni ma al tempo stesso cerco di farlo usando strumenti immediati e diretti, come la fotografia.
Parlaci del tuo progetto “Girls in Uniform” e del tuo lavoro a Reggio Emilia
“Girls in Uniform” nasce nel 2003 e consiste in diverse serie fotografiche, sculture e video. Ho sviluppato il mio lavoro tra la Svezia e il Sud Corea. E’ una saga contemporanea di trasformazione attraverso il mito dell’adolescenza e delle diverse uniformi che siamo costretti ad indossare nel corso della vita. L’intero progetto è una narrazione, dove ogni fotografia agisce come un racconto. Partendo da un’immagine che ho nella testa, cerco di ricrearne il contesto, definendo il più possibile ogni dettaglio: cosa aggiungere, cosa togliere, come dovrebbe essere la location e come sviluppare l’azione. Cerco luoghi normali, spazi della vita di tutti i giorni, che, una volta catturati dall’obbiettivo, si trasformano. Questa trasfigurazione è molto interessante per me, e non riguarda soltanto i luoghi, ma anche i soggetti delle mie fotografie. Trattandosi più che altro di sensazioni e di immagini che nascono nella mia testa, esse esistono al di fuori di una collocazione precisa e definita. A volte è il luogo a darmi il senso dell’azione che ritraggo, altre volte è l’azione a definire il luogo. Non c’è un vero e proprio punto di partenza. Generalmente, ogni scatto è preceduto da un lungo lavoro di progettazione che può durare anche due anni, per cui i miei tempi di lavoro e di produzione sono abbastanza dilatati e pianificati.
Venire in Italia è stato, al contrario, molto spontaneo. In questo senso il lavoro che ho fatto a Reggio Emilia è molto diverso rispetto ai miei lavori precedenti. All’inizio è stato difficile, proprio perché non sapevo esattamente cosa aspettarmi. Quando sono stata qui lo scorso aprile per The Core of Industry ho visitato alcuni luoghi interessanti, e meno di due mesi dopo ero di nuovo qui. Circa metà delle immagini che ho scattato erano presenti nella mia testa da lungo tempo, e si è trattato solo di individuare le locations adatte. L’altra metà, invece, è nata spontaneamente: sono stati i luoghi ad ispirarmi e questa è una vera novità per me. In questo nuovo lavoro, a differenza di quelli che ho sviluppato in Svezia e in Sud Corea, ho tentato di annullare ogni elemento secondario e supplementare, concentrandomi invece sulle locations e sui personaggi.
Come si sviluppa il tuo lavoro di artista?
Lavoro principalmente in Svezia, quindi il periodo estivo è il più intenso e produttivo, poiché devo sfruttare al massimo la luce. Successivamente, dato che lavoro in digitale, c’è un lungo periodo di post-produzione, che mi impegna quasi fino alla primavera successiva, momento in cui comincio a pianificare gli scatti dei mesi estivi. E’ un lavoro circolare!
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il prossimo ottobre inizierò un progetto itinerante nei paesi Scandinavi, inaugurato da una mostra allestita in due diversi luoghi di Stoccolma. Da lì, dopo un tour in Scandinavia, la mostra si sposterà verso il centro Europa, magari in Francia o in Italia.